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03 luglio 2017
Nella valutazione del caso concreto il Giudice non è vincolato da eventuali provvedimenti già adottati dal Garante privacy.

Il fatto: Viene avviato un giudizio per risarcimento dei danni contro un giornale che aveva pubblicato il testo di una telefonata - abusivamente captata e diffusa - contenente dati sensibili sull'orientamento politico dei soggetti coinvolti nella conversazione. In particolare, la telefonata era stata abusivamente captata da terzi e recapitata alle autorità locali ed alla redazione del giornale che, successivamente, aveva provveduto a pubblicarla anche in formato audio – liberamente scaricabile - sul suo sito internet. Uno dei soggetti interessati adiva il Garante per la protezione dei dati personali ottenendo l’inibitoria alla divulgazione dei dati sensibili. L’Autorità accertava come la raccolta e la pubblicazione dei dati sensibili fosse avvenuta, da parte del quotidiano, in violazione del d.lgs. 196/2003. Nonostante l’accertamento compiuto dall'Autorità amministrativa, dapprima il Tribunale di Trento – Sentenza del 11 febbraio 2013 – e, poi, la Corte d’Appello di Trento – Sentenza n. 275 del 2014 - rigettavano la domanda di risarcimento dei danni subiti da soggetti interessati per insussistenza dei presupposti per la diffamazione a mezzo stampa (in quanto la pubblicazione rispettava i limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca per interesse pubblico della notizia, verità storica dei fatti e continenza nell'esposizione). Pertanto, la Corte d’Appello, realizzato un bilanciamento dei contrapposti interessi tra il diritto di cronaca e il diritto alla riservatezza, concludeva per la legittimità della pubblicazione. Avverso tale sentenza parte soccombente proponeva ricorso per Cassazione.


Il diritto: Per la Corte di legittimità “il risarcimento dei danni provocati dall'illegittima raccolta e/o diffusione dei dati personali è sottratto alla cognizione dell'Autorità garante (cfr. Cass. n. 19534/14 […]); la cognizione sulla domanda risarcitoria è riservata all'autorità giudiziaria ordinaria, che può provvedervi sia in sede di impugnazione del provvedimento del Garante […] ma anche separatamente, qualora l'interessato abbia ottenuto un provvedimento del Garante favorevole, in tutto o in parte, o comunque non intenda impugnarlo; […] il Garante è competente all'emanazione di provvedimenti di natura preventiva, inibitoria o conformativa, potendo sospendere, modificare o far cessare il trattamento illegittimo dei dati personali, mentre la domanda risarcitoria ha causa petendi e petitum totalmente diversi, per i quali, come detto, è assicurata la riserva esclusiva di giurisdizione ordinaria; riserva, quest'ultima, che si giustifica in ragione della natura amministrativa dell'organo e del relativo procedimento, che non pone il Garante nella stessa posizione di terzietà assicurata dal giudice nel processo (cfr. Cass. n. 7341/2002 e n. 11864/04, tra le altre)”. La Cassazione ha poi precisato che “il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali, non opposto ai sensi degli artt. 151 e 152 del Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), non può mai acquistare efficacia (equiparabile a quella) di cosa giudicata nel separato giudizio che l'interessato abbia successivamente instaurato dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria per ottenere il risarcimento dei danni che assume provocati dalla lesione del diritto alla riservatezza e del diritto alla protezione dei dati personali”.   Il commento: La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha affermato il principio secondo cui il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali - che abbia accertato l’illegittimità della raccolta e della diffusione di determinati dati personali e che non sia stato opposto ai sensi degli artt. 151 e 152 del D.lgs. n. 196 del 2003 - mai può acquistare un'efficacia (equiparabile a quella) di cosa giudicata nel separato giudizio instaurato dall’interessato dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria per ottenere il risarcimento dei danni. Ciò in ragione della natura amministrativa dell’Autority, nonché del relativo procedimento disciplinato dal d.lgs. 196/2003, che non pongono il Garante in una posizione di terzietà assimilabile a quella assicurata dal giudice ordinario nel processo. Quanto espresso dalla Suprema Corte appare pienamente condivisibile alla luce dei chiari dettati legislativi e delle precedenti pronunce di legittimità costituendo, in ogni caso, un precedente molto importante nella definizione dei limiti e dell’efficacia dei provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali anche nell’ambito del rapporto di lavoro. Da quanto affermato dalla Suprema Corte possiamo infatti ricavare un principio di autonomia ed indipendenza tra i procedimenti/provvedimenti del Garante ed i procedimenti/provvedimenti giudiziali. In applicazione di tale principio il Giudice del lavoro viene dunque legittimato a definire, nel caso concreto, i limiti di applicazione dell’art. 4 della legge n. 300 del 1970 (ad esempio, anche per quanto riguarda la nozione di “controlli difensivi” o di “strumenti di lavoro”) senza essere condizionato da eventuali precedenti provvedimenti adottati dal Garante Privacy.